.Il Canone nel Doriforo di Policleto
Interrogativi, riflessioni, approfondimenti e critica dell’Arte, di Salvatore Fazia
IL CANONE
Mappa: una statua, un trattato, un modello, e un metodo, l’origine matematica e la tradizione geometrica, questione della legittimità del principio di perfezione, di armonia e di ideale, che cosa determina la scelta del canone, oggettività e soggettività, arbitrarietà o esistenza di un canone a priori?
Forse un modello, una statua di Policleto, il Doriforo, o un trattato dello stesso artista, un manuale teorico con le istruzioni per l’uso, andato disperso, o le due cose insieme, modello e trattato, il che ha fatto dire a Plinio il Vecchio che Policleto è il solo artista che avendo fatto un’opera d’arte ha fatto l’arte stessa. Il Canone sarebbe stato questa scultura, il suo metodo artistico, di cui avrebbe realizzato la generalizzazione pratica, la comunicazione della sua stessa invenzione e, appunto, la codificazione delle istruzioni. Così ne scrive Galeno, un fisico del II sec. d.C.: «Crisippo ritiene che la bellezza non consista nella simmetria degli elementi ma in quelle delle parti, del dito in relazione col dito, e di tutte insieme in relazione al metacarpo ed al carpo, e di queste rispetto all’avambraccio, e dell’avambraccio rispetto al braccio; e di tutto rispetto al tutto, secondo quanto appunto è scritto nel Canone di Policleto. Infatti egli, avendo istruito tutti noi in quello scritto sulla simmetria del corpo, rinsaldò il ragionamento con l’opera avendo creato una statua secondo i dettami del ragionamento ed avendo poi chiamata la stessa statua, come lo scritto, Canone». Il fine essendo quello dell’armonia, della perfezione, dell’idealizzazione del corpo umano, parà micron, riporta Galeno, fino al più piccolo particolare: doveva essere tutto misurato e commisurato, secondo la scoperta pitagorica dei numeri e della loro applicazione alle opere d’arte, il cui valore, se veniva individuato in certe proporzioni, non si capisce, però, come e perché queste proporzioni venissero giudicate ideali, quali tra esse e perché, non esistendo nessun idealismo numerico, nessun numero o rapporto numerico che avesse in sé la serie ideale. È stato detto: nel Canone di Policleto tutto è proporzione, ma quale fosse la porzione di principio, che cosa facesse da unità di misura e di riferimento, e cosa facesse dire questa è la porzione di base, ideale… non è detto. È stato, invece, scritto: “Calcolando l’altezza come unità di base del sistema metrico policliteo corrispondente ad una tesa, da essa si ricavano le altre misure fondamentali: il piede corrispondente ad 1/6 della tesa, il braccio corrispondente ad 1/4 della tesa, il palmo corrispondente ad 1/4 del piede, il dito corrispondente ad 1/4 del palmo. Queste cinque misure fondamentali sono, secondo il von Steuben, il punto di partenza per definire, tramite semplici sistemi proporzionali, le misure di ogni singolo elemento del corpo del Doriforo, persino i riccioli dei capelli” (E. La Rocca). Ma il problema non cambia: perché quelle unità sarebbero ideali? Che cosa ne conferma il valore di equità, di equiprobabilità, rispetto ad altre unità, altre misure? R. Tobin ipotizza un sistema geometrico basato sulla falangetta del dito mignolo che diventa così il modulo di base per la determinazione dei rapporti proporzionali della figura umana: è forse l’ipotesi più vera, perché sembra corrispondere meglio alla tradizione matematica greca basata piuttosto sulla geometria. E tuttavia il problema resta, si sposta e si ripropone: cosa ha fatto scegliere questa misura e, alla fine, questo sistema di misure? L’unico criterio non resterebbe l’effetto visivo, la sola sensazione, una naturale percezione? Non salterebbe allora ogni legittimazione superiore che non fosse quella semplice dell’occhio?